Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, guidata dal carmagnolese Giorgio Prino, critica la scelta regionale di concedere deroghe dai 15 ai 30 giorni per gli abbruciamenti nel periodo invernale.
Legambiente Piemonte si schiera contro la Regione sulla scelta di concedere deroghe dai 15 ai 30 giorni per gli abbruciamenti nel periodo invernale.
“La combustione libera di vegetali e residui colturali è fonte di grandi quantità di micropolveri e, in piena siccità, innalza il rischio di incendi -dichiarano dall’Associazione ambientalista, guidata dal carmagnolese Giorgio Prino– Curioso come gli atteggiamenti della Regione Piemonte siano contrastanti fra loro a seconda del campo di applicazione. Manca completamente una visione globale”.
La Regione Piemonte ha approvato lo scorso 18 febbraio 2020 una legge secondo la quale il divieto di abbruciamento di materiale vegetale, nel periodo compreso tra il 1° novembre e il 31 marzo dell’anno successivo, potrà essere derogato, limitatamente alla combustione dei residui colturali, per un massimo di 30 giorni anche non continuativi per i Comuni montani e per un massimo di 15 giorni anche non continuativi per le aree di pianura.
Le deroghe vanno decise dai sindaci con propria ordinanza, fermo restando i limiti posti dal decreto legislativo 152/2006, che prevede che i Comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale abbiano in ogni momento la possibilità di sospendere, differire o vietare l’abbruciamento delle sterpaglie in tutti i casi in cui sussistano condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili.
Proprio su questo fronte, Legambiente critica la Regione, accusandola di incoerenza: “Quando parlano di inquinamento atmosferico in città, assolvono le auto e incolpano i riscaldamenti, in particolare quelli a biomassa. Ciononostante, contemporaneamente, liberano le deroghe agli abbruciamenti liberi. Abbiamo l’impressione che il costante appellarsi al semplice buonsenso stia producendo dei cortocircuiti politici”.
Aggiunge Giorgio Prino: “Il divieto nasce dalla necessità di contenere il rischio per la salute umana e la deroga in capo ai Comuni lo rende di fatto inutile: è sufficiente che un Comune programmi o distribuisca le giornate di deroga per dar modo di smaltire a fuoco tutto quanto producibile nelle operazioni agricole autunnali e invernali, semplicemente concentrando gli abbruciamenti -spiega- Inoltre, posto che gli abbruciamenti sono una fonte significativa, scientificamente accertata, di particolato e composti organici volatili, la deroga è di fatto una valutazione della non pericolosità delle emissioni degli abbruciamenti consentiti. La responsabilità di decidere se tale pratica sia nociva per la salute umana (in termini di inquinanti a tossicità immediata e di accumulo di inquinanti in troposfera) è dunque traslata sui sindaci, che non hanno una struttura tecnica di supporto, come ha invece la Regione”.
Per Legambiente, il mantenimento della pratica di abbruciamento dei residui, oltre a non valutare gli aspetti sanitari, è incongruente con la realtà sotto il profilo ambientale e agronomico: “in un sistema di agricoltura industriale che ha causato in 50-80 anni l’impoverimento e la mineralizzazione dei suoli padani, con la liberazione di quantità significative di carbonio, non andrebbe favorita la combustione ma la triturazione e l’interramento, previo l’eventuale compostaggio, dei residui“.
Il tutto senza dimenticare il rischio-incendi: “Alle questioni legate ad inquinamento e a qualità del suolo, si aggiunge quella sulla sicurezza: in un momento storico in cui gli effetti dei cambiamenti climatici si traducono sul nostro territorio con inverni sempre più siccitosi, permettere abbruciamenti liberi significa elevare significativamente il rischio di incendi. Quegli stessi incendi che nell’autunno del 2017 hanno martoriato il territorio piemontese”.