Il giovane logopedista Gabriele Ghio durante i lockdown ha collaborato con il gruppo GioCa – Giovani Castagnole tramite alcuni video, finalizzati a dare consigli ai genitori dei bambini più piccoli.
A dicembre l’Associazione GioCa – Giovani Castagnole ha condiviso sui propri social il video di un giovane logopedista del paese, Gabriele Ghio, che ha proposto alle famiglie alcuni giochi utili per i bambini in vista delle festività natalizie.
“Il Carmagnolese” l’ha intervistato per conoscere meglio l’idea dietro al progetto e per sapere di più sul suo lavoro.
Come è giunto a scegliere gli studi di logopedia?
La mia formazione parte dal liceo scienze applicate di Carmagnola e quando è arrivato il momento di scegliere l’università ero già indirizzato verso le professioni sanitarie, anche se indeciso tra fisioterapia e logopedia. Ero più propenso a frequentare la prima, anche a causa della mia esperienza nello sport: pratico pallavolo da quando ho quattordici anni e tuttora gioco in serie B a Savigliano, quindi è un mondo a me molto vicino. Poi invece il destino ha voluto che entrassi nella facoltà di logopedia: ho continuato per questa strada e mi ha affascinato. Una volta uscito dall’università ho impattato con il mondo del lavoro, che è molto diverso da quello degli studi: si imparano più cose, si capisce la propria strada ed è un continuo formarsi ed imparare, anche grazie a corsi di aggiornamento che preparano per le nuove esigenze del territorio o che permettono di seguire gli ambiti che più mi interessano.
E da dove è nata l’idea di creare un video per l’associazione GioCa?
Questa idea mi è venuta in particolare per dare una mano ai genitori che nel periodo natalizio dovevano pensare ai regali per i propri bambini. La tecnologia è sempre più preponderante, ma si tratta di un mezzo con cui il bambino interagisce in maniera indiretta: guarda video, ascolta canzoni, ma non crea nulla. Il mio suggerimento voleva invece spronare verso attività che facessero produrre qualcosa ai più piccoli e che li rendessero partecipi dello scambio comunicativo. A volte mi capita di incontrare bambini molto bravi nell’uso del tablet o del telefono, ma poveri dal punto di vista del linguaggio: questo perché quando si guarda uno schermo si assorbono parole e frasi nuove, ma non si sperimenta e non si mette in pratica nulla. Ho voluto quindi proporre ai genitori dei giochi che potessero coinvolgere in maniera diretta i propri figli: sono attività che servono per divertire e per lavorare sul linguaggio, come set strutturati (la casa delle bambole o la caserma dei pompieri) o anche i “silent books”.
Quindi per questi giochi è necessaria la presenza di un genitore.
Il genitore è una pedina fondamentale nello scambio comunicativo. La comunicazione avviene tra due persone e se il bambino gioca da solo l’interlocutore manca. È vero che i più piccoli producono frasi attraverso il gioco simbolico, ad esempio quando fanno finta di dare la pappa al proprio bambolotto, ma per tutti gli altri giochi è fondamentale che sia presente una persona con cui comunicare: può essere un genitore, così come un nonno o una nonna, o ancora un fratello o una sorella più grande che ha già una maggiore consapevolezza. Un ricordo della mia infanzia è che, essendo meno influenzata dai mezzi tecnologici, ci si portava i giochi con sé, ad esempio al ristorante, e si creavano delle attività; adesso, in occasioni simili, spesso ai bambini viene consegnato il telefono, ma ciò porta ad una comunicazione pari a zero.
Aveva già collaborato in passato con il gruppo GioCa – Giovani Castagnole?
Avevo già realizzato un video durante lo scorso lockdown, in primavera, dato che abito a Castagnole e mia sorella stessa fa parte del gruppo. Mi era stato chiesto di dare consigli alla comunità castagnolese su come passare il tempo, e io ho partecipato ben volentieri. Spero nelle prossime occasioni di collaborare ancora con l’associazione: è un gruppo giovane con molte idee, e qui sta la forza del paese di Castagnole: ci conosciamo quasi tutti e ci diamo una mano. Il gruppo GioCa ha contattato me e altri ragazzi per queste iniziative perché ognuno ha una propria particolarità: proporre il mio lavoro è significativo sia per la mia crescita personale, sia per dare informazioni alla comunità del paese. Spesso capita che non si conoscano nella fattispecie le competenze del logopedista: magari si pensa subito al linguaggio, ma ci sono diversi ambiti; ad esempio, io mi sto specializzando sulle parti legate all’attenzione e alle funzioni esecutive. Ci sono poi altri rami che permettono anche di seguire gli adulti che hanno difficoltà a deglutire e nella parola a seguito di eventi traumatici come ictus e danni cerebrali.
Il video può essere utile per un genitore che magari non ha riconosciuto che il proprio bambino ha una difficoltà specifica?
Sicuramente il video propone attività di potenziamento, utili a rafforzare aspetti in cui magari alcuni bambini sono più carenti. Bisogna però ricordare che ogni ragazzino è diverso e ha quindi la necessità di lavorare su aspetti specifici: è chiaro che con l’intervento di uno specialista è più facile trovare dove sta il problema e si possono utilizzare attività particolari e mirate. Di certo i giochi proposti nel video possono essere una sorta di palestra per migliorare l’apprendimento dei più piccoli. Nel caso in cui si dovessero notare difficoltà rilevanti è importante consultare uno specialista, così da organizzare esercizi fatti su misura per ogni bambino. Qui si inserisce anche un ragionamento sull’importanza della diagnosi precoce, ad esempio per la dislessia e la disortografia: magari un ragazzino può trovare in modo autonomo delle strategie per compensare le difficoltà incontrate a scuola; la situazione si complica però nel momento in cui la mole di lavoro aumenta, ad esempio alle medie e alle superiori. Se invece si riconosce il problema e si intraprende un percorso di potenziamento fin da subito si possono individuare strumenti compensativi e distributivi che sono di supporto.
Io faccio sempre un esempio: perché chi ha difficoltà alla vista può portare gli occhiali e chi ha difficoltà nella lettura non può avere strumenti che lo aiutino? Bisogna far passare un po’ questo concetto, perché questi mezzi non facilitano il soggetto ma gli danno una mano e lo aiutano. È importante riconoscere queste difficoltà: sono caratteristiche proprie, per cui non bisogna essere penalizzati: ognuno ha potenzialità diverse dagli altri. È un concetto che da anni ci stiamo battendo per far passare, in particolare con insegnanti e genitori, anche perché anni fa questi strumenti non esistevano. Bisogna invece entrare nell’ottica che grazie a questi mezzi si possono ottenere buoni risultati; se l’ambiente intorno è d’aiuto, lo studente è più invogliato nell’impegnarsi e può giungere ad affrontare un percorso di studi come tutti.
In base alla sua esperienza, il lockdown primaverile ha influito sulle difficoltà dei bambini che segue?
Ho visto casi di bambini che sono stati penalizzati e altri che invece ne sono usciti rafforzati. Diciamo che il genitore è la chiave di volta nella crescita e nel miglioramento del bambino, che ha ottenuto risultati positivi se il proprio papà o la propria mamma è stato presente ed è ben istruito ad esempio sulla comunicazione. Dipende molto dalle difficoltà del ragazzino e dalla possibilità dell’adulto di seguirlo durante la giornata: ciò non va a colpevolizzare nessuno, chiaramente gestire il proprio figlio e in contemporanea il lavoro è complicato. Bisogna anche ricordare che si è trattato di una situazione senza precedenti, senza esempi da seguire o spunti a cui fare riferimento. La stessa didattica a distanza non era mai stata sperimentata in modo massiccio.
Cosa ha notato nei bambini che sono stati tanti mesi senza la presenza fisica della scuola?
Di sicuro questo è un aspetto importante: la scuola è la palestra dei bambini, è il luogo dove crescono, imparano, fanno errori, imitano. Ad esempio un bambino dell’asilo ogni giorno è bombardato da richieste da parte dell’ambiente, come un compagno che gli chiede di giocare. Un altro aspetto che si è perso con l’assenza della scuola è la mancanza di una routine: soprattutto nella scuola dell’infanzia i più piccoli seguono diversi step temporali (merenda, gioco, momento della storia, pasti, …). La stessa comunicazione con i coetanei si è persa, che invece è essenziale: i bambini si prendono d’ispirazione a vicenda per crescere e migliorare.
Secondo me, in questo contesto, le fasce più colpite nel lockdown sono state le classi più piccole delle elementari, le prime e le seconde: sono gli anni in cui si rafforzano i prerequisiti della lettura e della scrittura, quindi i bambini di queste classi hanno appreso meno queste basi fondamentali. Anche i tempi d’attenzione sono ancora in fase di evoluzione e con la didattica a distanza è più complicato mantenere la concentrazione a causa delle maggiori distrazioni dovute, ad esempio, ai mezzi tecnologici.
Come ha gestito le visite dei propri pazienti durante il lockdown? Ha potuto continuare a vederli di persona?
Per i bambini che potevano ho utilizzato la teleriabilitazione, una metodologia che già si usava ma in maniera minore. Abbiamo fatto esercizi online, grazie a piattaforme che consentono la creazione di lezioni e attività personalizzate per ogni bambino. Anche con qualche paziente adulto abbiamo impostato prove “a distanza” che hanno dato risultati positivi. Con i più piccolini e con i pazienti che necessitavano di una componente fisica importante ho invece mantenuto le visite di persona. Si pensi ad esempio all’autismo: una seduta online rende poco, senza contatto visivo diretto, senza riscontro fisico e con una comunicazione molto più difficile rispetto ad un incontro concreto.
Cosa consiglia a chi è incuriosito dal suo lavoro di logopedista?
È un lavoro molto vario e non ci si può annoiare, anche perché si può scegliere la propria direzione e ci sono sempre nuovi corsi d’aggiornamento: io ad esempio ne ho appena concluso uno sulla balbuzie e ne ho iniziato uno sulla lettura. Ci sono talmente tanti aspetti da trattare che non è un lavoro statico: non si smette mai di imparare e forse è proprio questo il bello. Io che tratto con i bambini amo interagire e giocare con loro, quindi deve piacere stare a contatto con i più piccoli e intrattenerli. Io ho anche pazienti adulti, ma la maggior parte sono bambini; tramite il gioco si lavora sugli aspetti che interessano per risolvere le diverse difficoltà del paziente, ma alla base ci deve essere comunque la voglia di stare con i ragazzini, che, secondo la mia esperienza, sono sempre stati contenti di fare le sedute grazie all’ambiente positivo che si crea e alle attività che vengono loro proposte.